Vangelo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà». (Gv 15,26-27.16,12-15).
Pace a voi!
Formiamo un solo corpo, e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito (cfr. I Cor 12, 13). Chi è lo Spirito Santo, come sono state le circostanze e quali le principali grazie concesse a Maria e ai discepoli in occasione della Pentecoste? Ecco gli insegnamenti che la Liturgia ci mette a disposizione nella Solennità di oggi, facendoci comprendere dove si trova la vera pace.
I – La Chiesa in occasione della Pentecoste
Preghiera in una atmosfera di armonia e concordia
Come tante altre feste liturgiche, la Pentecoste ci fa ricordare uno dei grandi misteri della fondazione della Chiesa da parte di Gesù. Si trovava infatti in uno stadio ancora quasi embrionale – allegoricamente, si potrebbe paragonarla ad una bambina di tenera età – riunita intorno alla Madre di Cristo. Lì nel Cenacolo, conforme quanto ci descrivono gli Atti degli Apostoli nella prima lettura (At 2, 1-11), si verificarono fenomeni mistici di eccelsa grandezza, accompagnati da manifestazioni sensibili di ordine naturale: rumore come di un vento impetuoso, lingue di fuoco, i discepoli che si esprimevano in lingue diverse senza averle mai prima apprese. L’alto significato simbolico dell’insieme di questi avvenimenti, come di ognuno in particolare, ha costituito materia per innumerevoli e sostanziosi commenti di esegeti e teologi di grande valore, come risulta chiaro da precedenti osservazioni da noi svolte nell’articolo anteriore.1 Oggi, è opportuno mettere in rilievo altri aspetti di non minore importanza collegati alla narrazione fatta da San Luca, per meglio intendere il Vangelo in questione, pertanto, la stessa festività di Pentecoste.
In quanto figura esponenziale, si distacca Maria Santissima, predestinata da tutta l’eternità a essere Madre di Dio. Si direbbe che avesse attinto la pienezza massima di tutte le grazie e di tutti i doni; invece, nella Pentecoste, Le sarebbe stato concesso molto di più. Come era stata eletta per l’insuperabile dono della maternità divina, ora Le spettava di diventare Madre del Corpo Mistico di Cristo e, proprio come era avvenuto nella Incarnazione del Verbo, è sceso sopra di Lei lo Spirito Santo, per mezzo di una nuova e ricchissima effusione di grazie, al fine di adornarLa con virtù e doni propri e proclamarLa “Madre della Chiesa”. Seguono poi gli Apostoli; essi costituiscono la prima scuola di araldi del Vangelo. Rispettavano le condizioni essenziali per essere adatti all’alta missione che aveva loro destinato il Divino Maestro, come ci riferisce la Scrittura: “Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù e con i fratelli di Lui” (At 1, 14). Questa perseveranza nella preghiera si è realizzata in forma continua e nel silenzio, nella solitudine e nel chiuso del Cenacolo. L’atmosfera era di massima concordia, armonia ed unione tra tutti, di vera carità fraterna. San Luca nel suo racconto ci tiene a far risaltare la presenza di Maria, certamente per rendere evidente quanto Lei stessa si rallegrasse di essere una fedele partecipante della comunità. Un segnale evidente è la sottomissione e l’obbedienza al Vicario di Cristo come traspare nei versetti successivi, che riferiscono sul primo atto di governo e giurisdizione di San Pietro (cfr. At 1, 15-22). In sintesi, la vera efficacia dell’apostolato è evidenziata lì, sotto il manto della Santissima Vergine, nell’unione effettiva di tutti con la pietra sopra la quale Cristo ha edificato la sua Chiesa.
L’efficacia dell’azione si trova nella contemplazione
Questo grande avvenimento è stato preceduto non solo dai dieci giorni di preghiera continua, ma anche da molti altri momenti di raccoglimento. Il trauma avuto in occasione della drammatica Passione del Salvatore esigeva ore e ore di isolamento e riflessione. Oltre a ciò, il timore di nuove persecuzioni e tradimenti imponeva a tutti loro prudenza, a parte l’abbandono delle attività comuni dell’apostolato anteriore.
Curiosamente, in generale, Cristo risorto sceglieva occasioni come questa – di riflessione e compenetrazione da parte di tutti – per apparire loro, come lo Spirito Santo, per infondere in loro i suoi doni. Questa è una importante lezione che la Liturgia di oggi ci offre: la vera efficacia dell’azione si trova nella contemplazione. Lo stesso Apostolo per eccellenza, che è giunto ad esclamare: “Væ enim mihi est, si non evangelizavero! – Guai a me se non predicassi il Vangelo” (I Cor 9, 16), trascorse un lungo periodo di preghiera nel deserto al fine di prepararsi per la predicazione. Chi assume il compito di analizzare passo passo le attività di un uomo zelante e apostolico può giungere a sbagliarsi se le giudica semplice frutto della sua personalità intraprendente, o del suo carattere dinamico, o addirittura della sua costituzione psicofisica. Sono numerosi gli uomini operanti e proficui che tirano fuori dal proprio essere l’inimmaginabile. Dove si trovano, di fatti, le energie impiegate da questi leoni della Fede e dell’efficienza? Più ancora ci potremmo chiedere: come riescono loro, in mezzo alla valanga di attività, a conservare un cuore mite e soave nel trattare gli altri?
Ricordiamoci del consiglio dato da San Bernardo di Chiaravalle al Papa dell’epoca, Eugenio III: “Temo, ti confesso, che in mezzo alle tue occupazioni, che sono tante, per non poter sperare che finiscano, si indurisca la tua anima, e pian piano perda la sensibilità di un dolore così giustificato e salutare. Astieniti di esse per qualche tempo affinché non ti dominino né ti trascinino verso dove non desideri arrivare. Vuoi sapere verso dove? All’indurimento del cuore. […] Fino a questo estremo ti possono trascinare queste occupazioni maledette se, come hai iniziato, continuano ad assorbirti per intero, senza riservare niente per te”.2
Si tratta di un Dottore della Chiesa che consiglia il Dolce Cristo sulla Terra di quei tempi, nell’esercizio della più alta funzione: il governo di questa istituzione divina. Bene, secondo il suo parere, tanto elevate occupazioni, senza l’ausilio della vita interiore, sono maledette. Questa sempre è stata la postura d’animo dei Padri della Chiesa, spiritualisti e Santi. Per esempio, San Tommaso d’Aquino afferma: “Per comunicarsi alla perfezione con gli altri si richiede più perfezione ancora che per essere semplicemente perfetto, perché […] ogni causa è superiore all’effetto”.3
Fatte queste considerazioni emergenti da una prima lettura ci sentiamo più preparati a contemplare le bellezze del Vangelo della presente Liturgia.
II – Il Vangelo della Solennità di Pentecoste
19 La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentreerano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli pertimore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”.
La prova attraverso cui erano passati gli Apostoli eccedeva le forze della fragile natura umana e, nonostante la testimonianza entusiastica di Maria Maddalena, non era facile per loro credere nella Resurrezione; forse il loro abbattimento era il risultato di non giudicarsi degni di ricevere una apparizione del Signore, come pondera San Giovanni Crisostomo,4 a causa dell’orribile abbandono nel quale avevano lasciato il Maestro nella sua agonia.
Nella sua bontà infinita, Gesù non ha lasciato trascorrere molto tempo per manifestarsi anche a loro. Ha scelto una eccellente occasione per farlo: all’imbrunire e quando le porte erano chiuse, per rendere ancora più manifesta la grandezza del miracolo della sua Resurrezione.
Il sopraggiungere della notte è il momento nel quale l’apprensione cresce nell’intimo di tutti i timorosi. D’altro canto, penetrare in un recinto con porte e finestre chiuse, soltanto in corpo glorioso si potrebbe realizzare un così grande prodigio. Non si sa con esattezza quale fosse il luogo dove si trovavano riuniti. L’ipotesi più probabile ricade sul Cenacolo. Un altro particolare interessante è la posizione scelta da Cristo per rivolgere loro la parola. Egli avrebbe potuto aver preferito salutarli subito all’entrata, invece ha camminato fra loro ed è andato a collocarsi bene al centro. Questo deve sempre essere il posto di Gesù in tutte le nostre attività, preoccupazioni e necessità. Il lasciarLo di lato, oltre ad essere una mancanza di rispetto e considerazione, è condannare al fallimento qualsiasi iniziativa, per quanto buona sia.
Anche il suo saluto richiama la nostra attenzione in modo speciale: “Pace a voi”. A prima vista saremmo portati a giudicare comprensibile che Egli desiderasse calmarli dal turbamento che li assillava dall’arresto nell’Orto degli Ulivi. Ed infatti, avrebbe potuto ben essere una delle sue intenzioni, ma il significato più profondo non risiede in questa interpretazione. Per meglio comprenderlo, chiediamoci che cosa è la pace.
“Pace è la tranquillità dell’ordine”,5 dice Sant’Agostino, ossia, un ordine permanentemente tranquillo. E San Tommaso6 dimostra che la pace è effetto proprio e specifico della carità, poiché tutto quello che è in unione con Dio vive nel perfetto ordine, armonizzando tutte le sue potenzialità, sensi e facoltà alla propria causa efficiente e finale. Questa unione fa nascere nell’anima che la possiede una profonda tranquillità interiore e neppure i nemici esterni la perturbano, perché niente le interessa se non Dio: “Se Dio è pernoi, chi sarà contro di noi?” (Rm 8, 31).
Ora, sappiamo dalla teologia che lo Spirito Santo è la Terza Persona della Santissima Trinità e procede dal Padre e dal Figlio per la via dell’Amore. In Lui sta la radice, o semente, dalla quale nasce il frutto della carità. Nell’amare Dio ed il prossimo, la gioia e la consolazione penetrano nel nostro intimo. Da questo amore e godimento, procede la pace.7
Gesù, augurando loro la pace, offriva loro uno dei principali frutti di questo Amore infinito che è lo Spirito Santo.
20 Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Da questa atteggiamento del Signore possiamo ben giudicare quanto la paura fosse penetrata nell’anima di tutti, nonostante udissero la voce del Divino Maestro che augurava loro la pace.
Per questo è diventato indispensabile mostrare loro quelle mani che tanto avevano guarito ciechi, sordi, lebbrosi ed innumerevoli altre infermità, mani che probabilmente, a suo tempo, avevano essi stessi baciato. Sì, quelle mani che, da poco, erano state trafitte da terribili chiodi. Era necessario convincerli che si trattava del Redentore, vedendo il suo fianco perforato dalla lancia di Longino.
In quel momento hanno sentito la gioia pervadere le loro anime, poiché avevano constatato che non c’era davanti a loro un fantasma, ma proprio Gesù in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Si compiva così la sua promessa: “vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (Gv 16, 22-23).
Traspare in questa attitudine il suo profondo intuito apologetico, nel far loro vedere le sue sante piaghe, al contrario di come aveva proceduto con Santa Maria Maddalena, oppure con gli stessi discepoli di Emmaus.
Un’altra nota di bontà consiste nel fatto che Egli ha velato lo splendore del suo Corpo glorioso, in caso contrario la natura umana degli Apostoli non avrebbe sopportato il fulgore della maestà dell’Uomo-Dio resuscitato.
21 Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre hamandato Me, anch’Io mando voi”.
Ancora una volta Gesù augura loro la pace, e lascia così intravvedere quanto importante sia la tranquillità dell’ordine. Come obiettivo immediato, Gesù mirava ad offrire loro l’indispensabile serenità di spirito di fronte alle discordie e alle mortali persecuzioni che i giudei gli avrebbero mosso contro. Dall’altro lato, Gesù si rivolge ai secoli futuri, pertanto, alla stessa Era nella quale viviamo. Anche a noi Egli ripete lo stesso augurio di pace formulato agli Apostoli in quel momento, specialmente alla nostra civiltà che ha le sue radici in Cristo – Re, Profeta e Sacerdote – il cui ingresso in questo mondo fu accompagnato dal bel cantico degli Angeli: “Pace in Terra” (Lc 2, 14). Non è stato diverso il dono da Lui offerto prima di morire sulla Croce, all’atto di accomiatarsi: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” (Gv 14, 27). Nel frattempo, l’umanità oggi si suicida in guerre, terrorismi e rivoluzioni. E quale la causa? Non vogliamo accettare la pace di Cristo.
Proprio come la carità, la pace comincia nella propria casa. Prima di tutto, è necessario costruirla dentro noi stessi, dando alla ragione illuminata dalla Fede il governo delle nostre passioni. Senza questa disciplina, entriamo nel disordine. Ora, sta diventando sempre più raro incontrare un essere umano nel quale questo equilibrio è cercato sulla base dello sforzo e della grazia. Lo spontaneismo domina dispoticamente in tutti gli angoli. Viviamo gli assiomi della Sorbona del 1968: “È proibito proibire” – “L’immaginazione ha preso il potere” – “Non rivendicare nulla, non chiedere nulla, ma prendere, invadere”. Essi sembravano essere per l’umanità una pietra filosofale di felicità, successo e piacere… Che disillusione! La pace deve essere la condizione normale e corrente per il buon rapporto sociale, soprattutto nella cellula mater della società, la famiglia. Ecco uno dei grandi mali dei nostri giorni: l’autorità paterna si è autodistrutta, l’assoggettamento amoroso alla madre è svanito e l’obbedienza dei figli è stata corrosa dal capriccio, dalla mancanza di rispetto e dalla ribellione. Queste infermità morali, trasposte nell’ambito della vita sociale, sfociano in lotta civile, di classe e persino in lotta tra i popoli.
L’umanità soffre queste e molte altre conseguenze del peccato di aver ripudiato la pace di Cristo ed abbracciato la pace del mondo, ossia, il consumismo, l’egualitarismo, il laicismo, l’adorazione della macchina, ecc.
Sentenzia la Scrittura: “Non v’è pace per gli empi, dice il mio Dio” (Is 57, 21). “Essi curano la ferita del mio popolo, ma solo alla leggera, dicendo: ‘Bene, bene!’ Ma bene non va” (Ger 6, 14). I millenni sono trascorsi e ci troviamo nuovamente nella stessa prospettiva di altri tempi, con una aggravante: corruptio optimi pessima – la corruzione del migliore ha come risultato il peggiore. Sì, il rifiuto della pace vera portata dal Verbo Incarnato è molto peggio dell’empietà antica, e ha conseguenze ancora più drastiche.
L’ordine fondamentale dell’edificio della pace deriva essenzialmente dal Vangelo e dal Decalogo, ossia, dall’amore a Dio sopra ogni cosa e al prossimo per amore di Lui.8 Da lì fiorisce la pace interiore dell’uomo e l’armonia con tutti gli altri, amati da lui con vera carità. Questo è il miglior rimedio per tutti i mali attuali, dalla “epidemia” delle depressioni – infermità paradigmatica del nostro secolo – fino al terrorismo. È indispensabile che ci riconosciamo in Dio nostro Legislatore e Signore, poiché, se nel corso della vita non esiste né la morale individuale né quella familiare, ci sarà ancor meno il vero equilibrio sociale e internazionale. Il caos dei nostri giorni ce lo dimostra anche troppo.
Essendo la pace frutto dello Spirito Santo, al di fuori dello stato di grazia, e della pratica della carità, non ci è dato trovarla. Per questo, chi diventa indurito nel peccato non può godere della pace: “Gli empi sono come un mare agitato che non può calmarsi e le cui acque portan su melma e fango. Non v’è pace per gli empi, dice il mio Dio” (Is 57, 20-21).
Lo stesso Isaia ci proclama la prodigalità e la grandezza della bontà di Dio verso i giusti: “Poiché così dice il Signore: “Ecco Io farò scorrere verso di essa (Gerusalemme), come un fiume, la prosperità; come un torrente in piena la ricchezza dei popoli” (Is 66, 12).
Questa è la ragione più specifica del fatto che Gesù abbia augurato una seconda volta la pace ai suoi discepoli. Egli è l’autore della grazia, pertanto, l’autore della pace: “Cristo è la nostra pace” (Ef 2, 14). “La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1, 17). Dopo questo secondo augurio di pace, Gesù invia i suoi discepoli all’azione, dimostrando chiaramente quanto è necessario non lasciarsi mai prendere dall’affanno delle preoccupazioni, perdendo la serenità. Uno degli elementi essenziali per il buon successo dell’apostolato è la pace dell’anima di chi lo fa.
Un altro importante aspetto da considerare in questo versetto è l’affermazione del principio della mediazione tanto gradita a Dio. Gesù si presenta qui come il Mediatore Supremo presso il Padre e, allo stesso tempo, costituisce gli Apostoli come mediatori tra il popolo e Lui. Qui possiamo misurare quanto siano ingannevoli le massime egualitarie quando cercano di distruggere il senso della gerarchia:
22 Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”.
La discesa dello Spirito Santo su Maria e sugli Apostoli si è svolta dopo l’ascesa di Gesù al Cielo e forse da qui viene il fatto che alcuni negano la realtà del grande mistero operato da Lui in questa occasione, narrata nel versetto in analisi. Questo errore, più esplicito all’inizio del VI secolo, è stato solennemente condannato dalla Chiesa nel V Concilio Ecumenico di Costantinopoli, nel 553: “Se qualcuno difende l’empio Teodoro di Mopsuestia, che ha detto […] che dopo la Resurrezione, quando il Signore ha alitato sui discepoli e ha detto loro: ‘Ricevete lo Spirito Santo’ (Gv 20, 22), non diede loro lo Spirito Santo, ma glielo diede solo figurativamente […], sia anatema”.9 Lo Spirito Santo non procede solamente dal Padre, ma anche dal Figlio. Egli è l’Amore tra ambedue. E come definire l’amore? È molto più facile sentirlo che definirlo. Due amici che si vogliono molto bene, nell’incontrarsi dopo un lungo periodo di separazione, si stringono forte in un abbraccio, pieni di gioia. Che cosa significa questo gesto tanto spontaneo ed effusivo, se non la manifestazione di un amore reciproco? I due quasi desiderano, in questo momento, una fusione dei loro esseri. Quando le madri vedono i loro figli partire, il loro intimo si lacera, sentono le loro viscere strapparsi. Coloro che si amano desiderano restare uniti e guardarsi. E quanto più forte è l’amore, maggiore sarà l’inclinazione ad unirsi.
Ora, quando I due esseri che si amano sono infiniti ed eterni, questo impulso di unione certo mai potrà mantenersi dentro gli stretti limiti di una mera tendenza emozionale, come molte volte succede tra noi uomini. Tra il Padre ed il Figlio, questo Amore è talmente vigoroso che fa procedere una Terza Persona, lo Spirito Santo.
I nostri amori, in non rare circostanze, sono volubili. Dio, del tutto al contrario, poiché contempla Se stesso, Vero, Buono e Bello, eternamente e in maniera irresistibile, Si ama dall’eternità e per l’eternità e da questo amore fa procedere una Terza Persona infinita, santa ed eterna, il Divino Spirito Santo. L’amore è eminentemente diffusivo, per questo tende a comunicarsi, a consegnarsi.
Curiosa è la differenza di forma impiegata dall’una e dall’altra Persona per comunicare con gli uomini. Il Figlio è venuto a questo mondo assumendo la nostra natura con umiltà ed in modo dimesso. Al contrario, lo Spirito Santo, senza assumere un’altra natura, marca la sua presenza con strepitosi simboli di maestà. La faccia della Terra sarà rinnovata da Lui, di qui la manifestazione dello splendore, forza e rapidità dei fenomeni fisici che hanno accompagnato la sua infusione di grazia in coloro che si trovavano riuniti nel Cenacolo, perché essi avrebbero dovuto essere apostoli e testimoni.
Era necessario che fossero illuminati, protetti, e sapessero insegnare. Nel Vangelo di Giovanni, questa donazione dello Spirito Santo ha in vista la facoltà di perdonare i peccati:
23 “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non lirimetterete, resteranno non rimessi”.
Che grande dono concesso ai mortali per mezzo dei sacerdoti: il perdono dei peccati! Dall’altro lato, che immensa responsabilità quella di un Ministro di Dio! Di lui dice San Giovanni Crisostomo: “Se il sacerdote ha condotto bene la sua vita, ma non ha curato con diligenza quella degli altri, sarà condannato con i reprobi”.10
III – Conclusione
Quanto si parla di pace, al giorno d’oggi, e quanto si vive al suo estremo opposto! L’intimo dei cuori si ritrova penetrato di tedio, apprensione, scoraggiamento e frustrazione, quando non di orgoglio, sensualità e mancanza di pudore. L’istituzione della famiglia sta diventando un pezzo di antiquariato. L’ansia di ottenere, non importa con che mezzo, senza tenere in conto il diritto altrui, va caratterizzando tutte le nazioni degli ultimi tempi. In sintesi, non c’è pace individuale, né familiare, né all’interno delle nazioni. Ecco perché i nostri occhi devono rivolgersi alla regina della Pace al fine di chiedere la sua possente intercessione affinché il suo Divino Figlio ci invii una nuova Pentecoste e sia, così, rinnovata la faccia della Terra, come migliore soluzione per il grande caos contemporaneo.
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1) CLÁ DIAS, EP, João Scognamiglio. “E rinnoverete la faccia
della Terra…”. In: Araldi del Vangelo. San Paolo. N.5
(Maggio, 2002); p.5-10;Commento alla Lettura degli Atti degli
Apostoli della Solennità di Pentecoste, in questo medesimo Volume
I della collezione.
2) SAN BERNARDO. Tratado sobre la consideración. L.I, c.II, n.3.
In: Obras Completas. 2.ed. Madrid: BAC, 1994, v.II, p.57; 59.
3) SAN TOMMASO D’AQUINO. Liber de perfectione spiritualis vitæ,
c.XVII.
4) Cfr. SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, apud SAN TOMMASO D’AQUINO. Catena
Aurea. In Ioannem, c.XX, v.19-25.
5) SANT’AGOSTINO. De Civitate Dei. L.XIX, c.13, n.1. In: Obras.
Madrid: BAC, 1958, v.XVI-XVII, p.1398.
6) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. II-II, q.29, a.3.
7) Cfr. Idem, I-II, q.70, a.3.
8) Cfr. Idem, II-II, q.29, a.3.
9) Dz 434.
10) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, apud SAN TOMMASO D’AQUINO, Catena
Aurea, op. cit.
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.
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