Vangelo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 38 “Avete inteso che fu detto: ‘Occhio per occhio e dente per dente’; 39 ma Io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; 40 e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 41 E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. 42 Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle. 43 Avete inteso che fu detto: ‘Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico’; 44 ma Io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, 45 perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo Sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. 46 Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47 E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48 Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste (Mt 5, 38-48).
La sublime bellezza morale della Nuova Legge
Ai precetti morali dell’Antica Legge, Nostro Signore aggiunge esigenze molto più profonde, elevate e radicali.
I – L’importanza del Discorso della Montagna
Nel Vangelo di San Matteo il Discorso della Montagna occupa tre capitoli interi – dal quinto al settimo –, e la Santa Chiesa valorizza in tal modo questa predicazione del Divino Maestro che le ha destinato sei domeniche consecutive del presente Ciclo Liturgico, in modo da permetterci di considerarla con maggiore profondità e giovamento spirituale. Così, nelle domeniche precedenti abbiamo potuto ammirare la bellezza delle otto Beatitudini (cfr. Mt 5, 1-11), abbiamo ricevuto l’invito a essere sale e luce per il mondo (cfr. Mt 5, 13-14) e abbiamo considerato le parole di Gesù sul pieno compimento che Egli è venuto a dare alla Legge di Mosè (cfr. Mt 5, 17). Domenica prossima vedremo l’impossibilità di servire, allo stesso tempo, Dio e le ricchezze (cfr. Mt 6, 24) e, infine, nella 9a Domenica, Nostro Signore ci ammonirà sul rischio di costruire la casa sulla sabbia (cfr. Mt 7, 24-27).
È nel Vangelo di questa 7a Domenica del Tempo Ordinario, però, che si trova il fulcro di tutto il Discorso della Montagna, il quale ci indica la via sicura per raggiungere la santità. In cosa consiste essere santo? Nel raggiungere l’audace meta delineata dal Divino Maestro : “Siate perfetti come il Padre vostro celeste è perfetto”.
II – L’aurora di una nuova era nei rapporti umani
Nel Paradiso Terrestre, Adamo ed Eva possedevano la grazia santificante, le virtù infuse e i doni dello Spirito Santo, con i quali partecipavano intrinsecamente e formalmente alla vita divina. Godevano, inoltre, di un equilibrio interno perfetto e non avevano alcuna appetenza sregolata, perché, in virtù del dono preternaturale di integrità, le loro potenze inferiori erano sottoposte alla ragione, e questa a Dio. Peccando essi persero – e con loro tutta l’umanità – questo felice stato di giustizia originale.
L’uomo cominciò ad affrontare, di conseguenza, una tremenda lotta interiore provocata dall’inclinazione al male. Una delle manifestazioni di questo disordine è l’amor proprio esacerbato, col conseguente desiderio di vendetta, di rappresaglia di fronte a qualsiasi offesa, come evidenzia un antico detto tedesco: Schadenfreude ist die beste Freude – La gioia di vedere la disgrazia altrui è la migliore delle gioie.
Come vedremo in questo Vangelo, Nostro Signore modificò completamente tale sistema crudele ed egoista di affrontare il rapporto umano.
Nel Cristianesimo, la vendetta personale viene bandita
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 38 “Avete inteso che fu detto: ‘Occhio per occhio e dente per dente!’; 39 ma Io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra;…”
Abbiamo già avuto occasione di spiegare come la legge del taglione fosse in vigore nell’Antichità. Possiamo trovarla nel Codice di Hammurabi – scritto intorno al 1750 a.C., a Babilonia –, ed è stata anche incorporata nel Diritto Romano. Vale ricordare che il termine taglione viene dal latino talis, che significa tale o uguale. Ossia, la replica avrebbe dovuto essere proporzionata all’offesa. In un certo senso, si comprende che fossero stabilite norme come questa, perché si trattava di popoli rudi, abituati all’uso della forza, tra i quali non era facile far prevalere il diritto e la giustizia. In realtà, la legge del taglione, promulgando l’equivalenza del castigo in rapporto al crimine commesso, moderò le vendette smisurate così frequenti all’epoca.
Anche la legislazione mosaica la utilizzava, come leggiamo nel Libro dell’Esodo: “allora pagherai vita per vita: occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido” (21, 23-25). Sebbene, all’inizio, l’applicazione di questa legge competesse soltanto alla legittima autorità, più tardi, con la decadenza dei costumi, i singoli cominciarono a farsi giustizia con le proprie mani e secondo il loro criterio, praticando atroci rappresaglie contro gli avversari. È, dunque, per premunire i suoi discepoli contro sentimenti di rancore che Nostro Signore afferma: “Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra!”.
Ora, udendo queste parole, una domanda affiora allo spirito: come intendere tale precetto, visto che Lui stesso ha agito in altro modo quando è stato schiaffeggiato da un soldato nella casa di Anna? Invece di offrire l’altra guancia, ha replicato: “Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché Mi percuoti?” (Gv 18, 23).
Il Redentore è venuto a introdurre una mentalità nuova. Egli vuole che l’egoismo sia eliminato dal nostro cuore, al punto da non reagire per amor proprio quando uno ci offende o schiaffeggia ingiustamente, ma da considerare, innanzitutto, l’oltraggio fatto a Dio con la violazione dei suoi Comandamenti.
Da questo punto di vista, offrire l’altra guancia supporrebbe che l’aggressore sia indotto a commettere un altro peccato, invece di condurlo a rendersene conto. Interpellando il suo carnefice, in realtà Egli cercava il bene di quella povera anima, dandole l’opportunità di riparare al suo errore. Sebbene l’infelice probabilmente non avesse nozione di aver schiaffeggiato Dio stesso, non per questo la sua censurabile brutalità smetteva di essere una colpa grave contro il bene e la giustizia. Con la sua risposta serena, Nostro Signore tentava di mettere la coscienza dell’aggressore in ordine.
Distacco dai beni materiali
40 “…e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello”.
A quel tempo era comune possedere varie tuniche, ma solo uno o due mantelli. Quest’ultimo era reputato indispensabile, l’abito per eccellenza, più prezioso della tunica. Infatti, vediamo la preoccupazione di San Paolo nel chiedere a Timoteo, in una delle sue epistole, il mantello che aveva lasciato “a Troade in casa di Carpo” (II Tm 4, 13). Secondo la Legge giudaica, chi prendeva il mantello del prossimo come pegno di un prestito, non poteva tenerlo fino al giorno successivo ed era obbligato a restituirlo prima del calar del Sole (cfr. Es 22, 26), perché sarebbe mancato molto al proprietario. Così, dicendo di consegnare “anche il mantello” a chi ci vuol prendere la tunica, Nostro Signore ci raccomanda il più completo distacco dai beni terreni e che le nostre anime siano libere da qualsiasi voluttà di possesso.
Lotta all’egoismo
41 “E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due”.
A volte, i soldati romani o altri funzionari del governo precettavano l’aiuto di qualcuno perché gli servisse da guida o per un altro lavoro, come accadde a Simone di Cirene, “che veniva dalla campagna e gli misero addosso la Croce da portare dietro a Gesù” (Lc 23, 26). Naturalmente, quando un imprevisto simile capitava, molti si lamentavano e persino si rifiutavano di compiere la richiesta. Per insegnarci il valore della carità, Nostro Signore dice: “Cammina due chilometri con lui!”. Ossia, se è alla tua portata, fa’ di buon grado anche più di quanto ti è stato richiesto.
Il valore della generosità
42 “Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle”.
Nell’Antico Testamento troviamo vari elogi a chi impresta: “Non ho mai visto il giusto abbandonato né i suoi figli mendicare il pane. Egli ha sempre compassione e dà in prestito, per questo la sua stirpe è benedetta” (Sal 37, 25-26); “Felice l’uomo pietoso che dà in prestito” (Sal 112, 5). Gesù, ricordando a chi lo ascoltava questa verità, dimostra che, di fatto, non è venuto per abolire la Legge e i profeti, ma per dare loro pieno compimento (cfr. Mt 5, 17).
Allora, come deve esser interpretato questo versetto? È necessario che noi cediamo sempre e diamo tutto quello che ci chiedono? Se questo principio fosse trasformato in legge, la società diventerebbe un caos a causa d’innumerevoli abusi. Non può esser questa, pertanto, l’intenzione di Nostro Signore. Egli desidera che ci dimentichiamo di noi stessi, preoccupandoci delle difficoltà altrui, e che siamo liberi da qualsiasi interesse e pragmatismo. Al contrario, l’egoista, colui che vive chiuso in sé, non prende mai l’iniziativa di aiutare il bisognoso, e se uno gli implora un favore, subito cerca di schivarsi.
Il precetto dell’amore universale
43 “Avete inteso che fu detto: ‘Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico’;…”
Quando, messo alla prova, il Divino Redentore chiese al dottore della Legge quello che in essa era scritto (cfr. Lc 10, 2526), costui subito rispose in maniera puntuale, citando i Libri del Deuteronomio e del Levitico: “Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6, 5) e il “tuo prossimo come te stesso” (Lv 19, 18). I giudei conoscevano perfettamente il precetto dell’amore universale, tuttavia consideravano come “prossimi” appena i loro compatrioti, mentre i gentili e i pagani erano considerati come nemici, meritevoli di disprezzo e odio.
Vero Legislatore, Nostro Signore Gesù Cristo rettificherà le interpretazioni falsate della Legge di Mosè, che la alteravano e la impoverivano, per dare una nuova pienezza ai Comandamenti e insegnamenti antichi. Come abbiamo già avuto occasione di commentare,1 confrontando l’espressione “Voi avete udito…” con l’affermazione “Io vi dico…”, del versetto seguente, Egli mostra quanto vuota sia, in contrapposizione al Vangelo, la morale delle esteriorità creata dai farisei. Parlando in prima persona, Egli realmente “insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi” (Mt 7, 29).
44 “…ma Io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori,…”
Secondo la Nuova Legge, i discepoli di Colui che è “mite e umile di cuore” (Mt 11, 29) non dovranno amare meno quelli che li annoiano, perseguitano e calunniano di quelli che stimano, esaltano e benedicono. Se vogliamo esser figli di Dio, dobbiamo avere una completa esenzione di animo nei confronti dei nemici e pregare per loro. La gloria di Dio esige che cerchiamo di fare il possibile per la conversione di tutti, imitando il sublime esempio di Gesù nell’alto della Croce. Quale fu la sua prima parola, pronunciata nei confronti di quelli che Lo crocifiggevano? “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34).
Sicuramente, non si deve esser indolenti e permettere agli avversari della Chiesa di agire liberamente contro di Essa, impiantando l’iniquità sulla Terra. Se è un obbligo amare i nemici, è necessario anche odiare il peccato! Bisogna, dunque, chiedere l’intervento divino per far cessare il male e impiegare tutti i mezzi – sempre secondo la Legge di Dio e quella degli uomini – affinché questo non prevalga nel mondo.
La munificenza infinita di Dio
45 “…perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo Sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”.
Come il Padre che sta nei Cieli “fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”, così versa le sue grazie su tutti, anche sui miserabili e malfattori. Dio ha creato gli Angeli e gli uomini con l’intento di aver parte alla sua felicità assoluta. Talmente grande è il suo amore per noi e il suo desiderio di salvarci, che ha inviato suo Figlio Unigenito ed eterno ad incarnarsi e a sopportare i tormenti della Passione per redimere il genere umano e aprirgli le porte del Cielo.
Essendo questa la volontà del Padre, dobbiamo lavorare con ardore, non solo per la salvezza di tutti coloro che lottano in questa valle di lacrime, ma ancora accelerare, con le nostre preghiere e sacrifici, la liberazione delle anime che patiscono nel Purgatorio.
L’amore è il segno distintivo dei cristiani
46 “Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47 E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?”
Per poter calcolare l’indignazione dei farisei per essere stati paragonati ai pagani ed esattori di imposte, considerati così spregevoli, basta ricordare la preghiera di uno di loro nel Tempio: “O Dio, Ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano” (Lc 18, 11).
L’insuperabile didattica del Divino Maestro ci porta a comprendere facilmente attraverso questi due confronti che amare gli amici e benefattori non ha nulla di straordinario. Il merito sta nel volere il bene anche di quelli che ci attaccano, rubano o ingiuriano.
A questo riguardo, chiarisce Sant’Agostino: “Solo la carità distingue i figli di Dio da quelli del demonio. Tutti si fanno il segno della Croce di Cristo; tutti rispondono: Amen; tutti cantano: Alleluia; tutti si battezzano; frequentano la chiesa, si stipano nelle basiliche; non si distingueranno i figli di Dio da quelli del demonio se non per la carità. […] Hai tutto quello che vuoi; se ti manca solo la carità, a niente ti giova tutto quello che avrai”.2
In questo modo, notando l’antipatia da parte di uno nei nostri confronti, dovremmo pensare: “È per lui che pregherò, affinché la Madonna gli ottenga la grazia della salvezza eterna. In apparenza, egli è mio nemico; in realtà, fa un bene enorme alla mia anima, poiché mi aiuta a percepire che, di fatto, a causa dei miei difetti, io dovrei guardarmi e trattarmi come lui mi guarda e mi tratta. Così, io mi conosco meglio”.
L’eroismo del perdono
Gesù ci invita a seguirLo per le vie eroiche della carità, della pazienza e del perdono massimo, rapido e totale. Per questo motivo non possiamo conservare risentimento contro nessuno, ma dobbiamo dimenticare a priori qualunque offesa personale. Noi, cristiani, dobbiamo essere un vero mare di perdono, come insegna l’Apostolo: “Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo” (Ef 4, 31-32).
Questa disposizione interiore, che rende gradevole la convivenza tra i cristiani, richiamava l’attenzione dei pagani, ai primordi della Chiesa: “Vedi, come loro si amano, e come sono disposti a morire l’uno per l’altro”.3 Ora, passati duemila anni di Cristianità, sarebbe da aspettarsi che gli insegnamenti del Divino Maestro fossero penetrati nelle istituzioni, nei costumi e nelle relazioni umane, al punto da esser la società di oggi più marcata dalla carità e benevolenza di quello che fu in altri tempi, come un vino il cui sapore si raffina con lo scorrere del tempo.
La meta più audace della Storia
48 “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”.
Gesù formula, con una chiarezza indiscutibile, la meta e l’obiettivo della nostra vita: imitare il Padre Celeste, modello assoluto di santità, adeguando a Lui la nostra mentalità, le inclinazioni e i desideri. Ma come saremo perfetti come Dio è perfetto? Con che mezzo arriveremo fino a questa suprema perfezione, impossibile per la nostra debole natura? Nostro Signore avrebbe, allora, dato un consiglio impraticabile? O sarebbe un’esagerazione didattica? Egli avrebbe potuto dire: “Siate perfetti come Mosè è stato perfetto, come Abramo, come Isacco, come Giacobbe”… Perché riferirsi a un così elevato modello? Accade che il Figlio, la Seconda Persona della Trinità, il Verbo increato, uguale al Padre, abbia assunto la nostra natura, e, essendo Uomo, come Archetipo dell’umanità, abbia riprodotto in Sé la perfezione del Padre, insistendo che noi facciamo lo stesso.
Con il Battesimo ci è infusa la grazia santificante – partecipazione alla vita divina –, accompagnata dalle virtù e dai doni, permettendoci di realizzare al modo divino quello che, con le mere forze umane, sarebbe totalmente irraggiungibile. Pertanto, non accontentiamoci di compiere solo i Comandamenti. Molto più di questo, dobbiamo voler assomigliare a Nostro Signore, cercando di esser perfetti come Lui, per esaudire all’altissimo invito fatto nel Discorso della Montagna. Questo è il senso della giaculatoria che troviamo nella Litania del Sacro Cuore: “Gesù, mite e umile di Cuore, rendi il nostro cuore simile al tuo!”.4
III – Chiamati al vero eroismo
La vita soprannaturale in noi è passibile di crescita, nella misura in cui preghiamo, ci sforziamo nella pratica della virtù ad evitare le occasioni di peccato e frequentiamo i Sacramenti. Più che in altre epoche storiche, viviamo attorniati da pericoli che minacciano la nostra perseveranza. Per resistere a tutte queste sollecitazioni del demonio, del mondo e della carne, è indispensabile alimentare un grande desiderio di raggiungere l’eroismo della perfezione.
In Cielo ci è riservato un luogo che potremo occupare con più o meno fulgore, cosa che dipende dalla fedeltà con cui cerchiamo di essere “perfetti come il nostro Padre Celeste è perfetto”. La nota massima di Paul Claudel, “la gioventù non è stata fatta per il piacere, ma per l’eroismo”,5 in realtà è incompleta, poiché l’eroismo in materia di virtù non è un obbligo esclusivo dei giovani, ma di tutti gli uomini, senza eccezione.
Edificanti esempi
Queste disposizioni, noi le incontriamo in abbondanza nella vita dei Santi. Una volta, San Francesco di Sales, essendo già Vescovo di Ginevra, s’imbatté in un nobile che lo riempì delle più grandi offese, alle quali egli non rispose nulla, mantenendo un silenzio pieno di dolcezza e serenità. Dopo l’uscita del visitatore, un sacerdote che aveva assistito alla scena chiese a San Francesco perché non avesse respinto l’insolente con fermezza. “Padre mio” – rispose il Santo – “ho fatto un patto con la mia lingua, secondo il quale lei starà zitta fin tanto che il mio cuore sarà preso e non replicherà mai a nessuna parola capace di provocarmi la collera”.6 Siccome era in gioco la sua persona, egli represse l’amor proprio e si conservò impassibile. Giorni dopo, il colpevole, commosso per la carità del Vescovo, andò in lacrime a chiedergli perdono.7 È così che dobbiamo essere!
Di questo diede esempio anche il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira – del resto, grande ammiratore di San Francesco di Sales –, che l’Autore di quest’articolo ha frequentato per quasi quarant’anni. Egli si manteneva permanentemente nello spirito del Vangelo, anche di fronte a sofferenze causate da persone vicine. A causa della limitazione di alcuni dei suoi movimenti a seguito di un incidente automobilistico, egli aveva bisogno di aiuto per alcuni atti della vita quotidiana. Il suo completo distacco lo portava a non scegliere nemmeno i vestiti da mettere, lasciando ad altri tale compito. A volte la scelta inadeguata lo portava a usare un completo leggero in un giorno freddo o un completo d’inverno in tempo di caldo, cosa che egli accettava, affrontando i fastidi senza mai lamentarsi.
Non era raro, quando uno gli chiedeva un incontro, che egli non decidesse il luogo della riunione, ma facesse scegliere alla persona dove le sarebbe piaciuto essere ricevuta. Una volta, il Dr. Plinio ricevette nella sua residenza, alle sei del pomeriggio, alcuni visitatori arrivati dall’estero, e questi furono così contenti e incantati dalla conversazione con il loro ospite che alle undici di sera ancora non se ne erano andati. In nessun momento il Dr. Plinio fece intuire che l’ora era tarda, altrimenti, ne sarebbe stata compromessa la Causa Cattolica; egli, con grande mansuetudine e assennatezza, cercava di adattarsi agli altri, facendo la loro volontà.
Ammirando tali fatti, non possiamo dimenticarci che il vero eroismo della virtù è inseparabile dalla consegna completa nelle mani di Dio, avendo coscienza che qualsiasi atto buono viene dalla grazia, e non dalla natura umana. Anche noi siamo chiamati a seguire questo cammino: esser perfetti come lo desidera il Padre Celeste, il cui aiuto per questo non ci deve mancare!
1) Cfr. CLÁ DIAS, EP, João Scognamiglio. Il vero compimento della
Legge è in ciò che dicono i farisei? In: Araldi del Vangelo. Roma.
N.94 (Feb., 2011); p.10-17; Commento al Vangelo della
VI Domenica del Tempo Ordinario – Anno A, in questo stesso volume.
2) SANT’AGOSTINO. In Epistolam Ioannis ad Parthos tractatus decem.
Tractatus V, n.7. In: Obras. Madrid: BAC, 1959, v.XVIII, p.269.
3) TERTULLIANO. Apologeticum, XXXIX: ML 1, 471.
4) CONGREGATIO DE CULTU DIVINO ET DISCIPLINA SACRAMENTORUM.
Compendium Eucharisticum. Città del Vaticano: LEV, 2009, p.411.
5) CLAUDEL, Paul; RIVIÈRE, Jacques. Correspondance. 1907-1914.
Paris: Plon, Nourrit et Cie, 1926, p.23.
6) HAMON, André-Jean-Marie Vie de Saint François de Sales,
Evêque et prince de Genève. Paris: Jacques Lecoffre et Cie, 1858,
t.II, p.161.
7) Cfr. Idem, p.295-296.
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.
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