Vangelo
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: 44 “Il Regno dei Cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. 45 Il Regno dei Cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46 trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. 47 Il Regno dei Cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. 4 8 Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e b uttano via i cattivi. 49 Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli Angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50 e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. 51 Avete capito tutte queste cose?” Gli risposero: “Sì”. 52 Ed Egli disse loro: “Per questo ogni scriba divenuto discepolo del Regno dei Cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13, 44-52).
Le parabole sul Regno
Tre parabole sul Regno – quella del tesoro nascosto, della perla e della rete –, preziosi insegnamenti per la nostra vita spirituale al fine di ottenere la salvezza. Quando i “pescatori” separeranno i “pesci”, alla fine del mondo, noi staremo tra i buoni o tra i cattivi?
I – Il Regno rivelato dal Divino Maestro
Alcuni soldati, inviati dalle autorità religiose del Tempio a catturare Gesù, erano ritornati senza aver portato a termine la loro missione, adducendo l’impossibilità di eseguirla, per il semplice fatto che nessuno mai aveva parlato come Lui. Traspare in questo episodio, il grande potere di espressione della verità insegnata dalla Verità Incarnata. Nessuno mai arrivò ad essere maestro, o verrà ad esserlo, nel senso più profondo del termine, come lo è stato Gesù Cristo. Chi, infatti, potrà oltrepassare in pedagogia il Predicatore Divino?
Consideriamo anche il fatto di quanto l’uomo sia moralmente incapace di conoscere da solo e nella sua pienezza le verità religiose, avendo bisogno per questo scopo del concorso della Rivelazione. Anche a questo riguardo possiamo chiederci: chi meglio dello stesso Gesù per offrire questa Rivelazione? Egli portava dall’alto una ricca varietà di temi per istruirci, tra i quali quello del Regno di Dio.
Obiettivo degli insegnamenti di Gesù
Il suo grande desiderio era farci conoscere direttamente le meraviglie che il Padre ci aveva preparato, poiché non è facile esprimerle nel linguaggio umano, come lo stesso San Paolo avrebbe detto: “Cosa che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che Lo amano” (I Cor 2, 9). Se Egli ci avesse mostrato il Regno dei Cieli, invece di rivelarcelo, avremmo perduto i meriti. Per questo, diventava indispensabile servirsi di immagini approssimative, molto compenetrate di logica e verosimiglianza, e facilmente accessibili alla nostra intelligenza. Un’oratoria magniloquente non era necessaria al Maestro, per la sua stessa essenza e perché ci comunicava una dottrina eterna, grandiosa, nella propria sostanza.
In considerazione di quanto sopra detto, e analizzando i fatti come si sono svolti, diventa chiaro a un semplice lettore dei Vangeli quanto Gesù non abbia avuto per scopo, nella sua vita pubblica, formare professionisti, artisti o esperti nel campo della scienza. Egli si è impegnato nel costituire le pietre vive della sua Chiesa per incamminarle al suo Regno Eterno. Comprendiamo anche meglio alcuni dei motivi che Lo hanno spinto a presentar-Si, nella sua missione, come perfetto ed eccellente modello per tutti coloro che sono chiamati ad insegnare. Con il suo modo di agire, avverte gli errori, inganni e deviazioni di coloro che cercano di farsi conoscere attraverso l’insegnamento, o di coloro che cercano di impadronirsi della verità, quando in realtà essa è un bene comune.
Dopo Gesù, i Santi e i Dottori molto ci hanno illuminato su questo punto particolare, come Sant’Agostino quando ha scritto: “Chi rivendica per se stesso quello che Voi offrite per uso di tutti, volendo come proprio ciò che è di tutti, è ridotto da ciò che è di tutti a ciò che è suo, cioè, dalla verità alla menzogna”.1 Sì, da questo punto di vista, Gesù ci ha dato il più alto esempio di modestia, proprio come dice San Paolo: “Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò Se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (Fil 2, 6-7). Per questo, invariabilmente, Egli Si richiama al Padre.
Supremazia del magistero Divino
Ecco alcuni elementi che ci portano a meglio intendere il perché Gesù è il Maestro. Così, afferma il Dottor Angelico: “Cristo è il principale dottore della dottrina spirituale e della Fede, conforme alla Lettera agli Ebrei: ‘Questa infatti, dopo essere stata promulgata all’inizio dal Signore, è stata confermata in mezzo a noi da quelli che L’avevano udita, mentre Dio testimoniava nello stesso tempo con segni e prodigi’ (Eb 2, 3-4), ecc.”.2
Infatti con tutta sicurezza si può parlare di una eccellenza del magistero di Cristo, poiché “il potere di Cristo nell’insegnare si vede, sia grazie ai miracoli con cui confermava la sua dottrina, sia per l’efficacia con cui persuadeva, che per l’autorità con cui parlava, poiché lo faceva come chi aveva dominio sulla Legge, affermando: ‘Ma Io vi dico’, sia infine per la rettitudine del suo procedere, vivendo senza peccato”.3
Rafforzando ancor più questa visione sul sacro magistero del Divino Maestro, San Tommaso ci mostra come la scienza sacra superi tutte le altre, sia per il suo oggetto, poiché si occupa di temi elevati inaccessibili alla pura ragione umana, mentre le altre abbracciano soltanto ciò che si trova entro i loro limiti; sia per la certezza, poiché la scienza sacra si basa sulla Luce divina che è infallibile, mentre le altre sulla luce della ragione, che è passibile di errore. Per cui conclude: “Dunque, è evidente che, sotto tutti questi aspetti, la scienza sacra è più nobile delle altre”.4
Di fronte a tale supremazia del Magistero Divino di Gesù, riesaminiamo per quale ragione Egli Si serviva di parabole nel suo insegnamento.
Metodo che intreccia semplicità ed eternità
Le parabole erano molto comuni nell’Antico Testamento. Fra queste possiamo menzionare quella del cantico della vigna di Isaia (cfr. Is 5, 1-7), o quella utilizzata da Natan per la sua invettiva contro Davide per i suoi peccati (cfr. II Sam 12, 1-4). Tutto porta a credere che, ai tempi della vita pubblica di Gesù, esse fossero divenute ancor più abituali, soprattutto tra i rabbini. Erano di vario tipo ed includevano un paragone che aveva lo scopo di rendere accessibile un insegnamento arduo da capire. Come strumento pedagogico, malgrado la loro semplicità – e forse proprio per questa ragione – risultavano attraenti, poiché, in virtù di una certa aura di ambiguità, che sempre le accompagnava, risultavano enigmatiche. Così, quanti non riuscivano a cogliere il loro intero significato ne rimanevano curiosamente interessati e coloro che captavano il loro contenuto provavano un sentimento di letizia. Per questo il Signore si rivolgeva così ai suoi ascoltatori: “Chi ha orecchie per intendere, intenda” (Mc 4, 9).
Gli autori hanno differenti opinioni a questo proposito. Alcuni, attraverso l’ottica della giustizia, analizzano le parabole come un procedimento usato dal Messia con l’obiettivo di castigare quelli che si rifiutavano di credere nella Rivelazione, nonostante i suoi miracoli. Tra questi spicca Maldonado, come pure Knabenbauer e Fonk. Altri, al contrario, a partire dalla misericordia, spiegano che il soave velo delle parabole mirava a stimolare l’interesse degli astanti, inducendoli a fare domande, per questo afferma San Girolamo: “Mescola le cose trasparenti con quelle oscure affinché, per mezzo di quelle comprensibili, afferrino quelle che non intendono”. 5
Era anche indispensabile che Gesù formasse i suoi discepoli passo passo – e non in maniera brusca – dentro i nuovi orizzonti. Sotto questo punto di vista, il metodo da Lui adottato non potrebbe essere stato migliore. In sé, la parabola dovrebbe essere semplice, sprovvista di qualsiasi carattere ricercato e, trattando una materia legata all’eternità, risultava sempre attuale. Semplicità ed eternità erano termini che si intrecciavano nel fulcro della Rivelazione portata da Gesù riguardo il Regno.
Due visioni opposte del Regno
I Giudei avevano una concezione sbagliata su questo punto in particolare. Credevano che la venuta del Messia fosse un’opportunità unica per la realizzazione del sogno nazionalista del popolo eletto: un intervento divino per instaurare un’era storica nella quale la supremazia politica, sociale e finanziaria sopra tutti i popoli sarebbe stata raggiunta con gloria e trionfo.
Proprio in senso opposto era il contenuto della Rivelazione sul vero Regno. In questo, tutto è semplicità, lentezza e affrontamento di ostacoli. Di qui il riferimento alle immagini del grano di senape, del loglio e del frumento, parabole contrapposte agli errori di visualizzazione del popolo giudeo.
Gesù predica alla moltitudine
Questa è la tematica trattata nell’intero capitolo 13 di San Matteo. In questo passo, seguiamo la predicazione di Gesù in Galilea. Uscito di casa, Gesù Si siede sulle rive del Mare di Tiberiade. Lo circonda una moltitudine tale che Egli Si trova nella circostanza di dover salire su una barca, per riuscire a parlare a tutti. Discorre nuovamente utilizzando parabole: il seminatore, la zizzania, il grano di senape, il lievito. Dopo di che, saluta i presenti e ritorna verso casa. Una volta solo con i suoi discepoli, Gli viene chiesto di spiegare la metafora della zizzania. Se continuiamo ad ascoltarLo, penetreremo nel passo del Vangelo della Liturgia di oggi.
Sebbene San Matteo presenti questi insegnamenti come proferiti in casa, solamente ai discepoli, e non alla moltitudine, Maldonado la pensa in modo contrario: “Io credo che sia più probabile che li abbia detti a tutti prima, insieme con le altre parabole”.6
II – La parabola del Tesoro nascosto
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: 44 “Il Regno dei Cieli
è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo
nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo”.
I dettagli secondari sono omessi dall’Evangelista. Saranno stati, o no, trattati dal Signore? Non abbiamo modo di saperlo. Tuttavia, si può immaginare quanto la spiegazione di Gesù debba essere stata molto attraente, per il fatto che Egli ne discorreva attraverso la sua umanità e, pari passu, andava illuminando, ben disponendo e aiutando, con la grazia e il suo potere divino, il fondo dell’anima di ognuno in quel momento lì presente. Matteo ha un obiettivo concreto in mente. Per questo sintetizza la parabola nei suoi elementi essenziali, lasciando da parte, per esempio, l’indicazione di come fu scoperto tale tesoro. Noi conosciamo episodi verificatisi nella Storia, a proposito di scoperte stupefacenti come questa. Rimane perciò a carico della nostra immaginazione ambientarla, completandone i particolari.
L’uomo nasconde nuovamente il tesoro. Da una prospettiva morale, procede bene, perché non si appropria delle ricchezze trovate. Allo stesso tempo, si mostra prudente non lasciando in vista quelle preziosità, per evitare qualsiasi tentazione da parte di chi poteva imbattersene. “Non è necessario adeguare questo dato [il fatto di nascondere il tesoro] al significato della parabola, perché, secondo la mia teoria, non fa parte di questa, se non come ornamento”, 7 dice Maldonado, e discorre su questo punto in particolare con grande e saggio criterio, glossando considerazioni fatte da San Girolamo e San Beda.
Ci pare curioso che gli autori concentrino le loro considerazioni sull’uomo che trova il tesoro, ma siano evasivi quando considerano il terreno in cui era nascosto. Ci sia consentito proporre una riflessione a questo proposito.
Guardando ai primi tempi della Chiesa, vediamo quanto sia costato ai giudei e ai pagani convertiti “comprare il terreno” nel quale si nascondeva il tesoro della Salvezza. La rinuncia che si esigeva era totale: famiglia, beni, reputazione e perfino la propria vita. Quanto bene hanno proceduto, pertanto, quelli che allora hanno abbracciato la Fede Cattolica!
L’umanità attuale, quale dei due ruoli rappresenta: quello dell’uomo che desidera comperare o quello di chi vuole vendere? Purtroppo la quasi totalità dei fatti ci fa propendere verso la seconda ipotesi. A molti di noi, al giorno d’oggi, non importa del tesoro della nostra Fede, che tanto è costata ai nostri antenati, e per la quale il Salvatore ha versato tutto il suo Preziosissimo Sangue sul Calvario. Per quale miserevole prezzo alcuni di noi vendono un così grande tesoro, come ha fatto Esaù con la sua primogenitura, scambiandola per un misero piatto di lenticchie! Oggi, più che mai, si moltiplicano le “lenticchie” della sensualità, della corruzione, del piacere illecito, dell’ambizione, ecc.
Qui potrebbe essere inclusa anche la figura del religioso che si lascia trascinare dalle faccende concrete, dimentico del “tesoro” per il quale aveva abbandonato tutto nel suo primitivo fervore.
Questa pienezza di gioia dell’uomo della parabola deve accompagnarci tutta la vita, senza interruzione, perché è uno degli effetti della vera Fede. La virtù è un dono gratuito, non si compra. Nel contempo, il suo possesso continuo e crescente costa sforzi di ascesi, pietà e fervore. È necessario che “vendiamo” tutte le nostre passioni, capricci, manie, vizi, sentimentalismi, insomma, tutta la nostra cattiveria. È il miglior “affare” che si possa fare su questa Terra.
III – La parabola della perla preziosa
45 “Il Regno dei Cieli è simile a un mercante che va in cerca di
perle preziose; 46 trovata una perla di grande valore, va, vende
tutti i suoi averi e la compra”.
“Il Regno dei Cieli è simile non al mercante, ma alla perla; come nella precedente parabola esso non è simile all’uomo che trova il tesoro, ma allo stesso tesoro in questione”.8 Nell’Antichità, le perle erano considerate di un valore inestimabile. Per questa ragione, chi ne avesse trovata in vendita una di eccellente categoria, sarebbe stato disposto a dare via tutti i suoi beni pur di comprarla.9 Il testo ci parla di “un mercante che cerca perle preziose”. Egli, nel comprarne una di altissima qualità, non pensa a venderla – per lo meno niente risulta a questo proposito nella lettera del Vangelo.
Sui dettagli secondari, dibattono tra loro diversi autori. L’importante è tener ben presente che questa parabola ha lo stesso significato della precedente, cambiando solo la materia, ossia, si tratta di lasciare, se è necessario, tutto ciò che si possiede al fine di acquistare questo “tesoro” o “perla”, che non è niente di più che lo stesso Regno dei Cieli.
“Il Regno dei Cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose” (Mt 13, 45)
A questo proposito San Giovanni Crisostomo fa la seguente riflessione: “Vedete come il Vangelo è un tesoro nascosto nel mondo e come in esso sono nascosti i beni”. E più avanti, completando il suo pensiero, afferma: “La verità è una, non può essere divisa in varie parti. E così come chi possiede una perla di grande valore conosce bene la sua ricchezza – ma tante volte tale ricchezza, che ci sta in sua mano, è ignorata da tutti gli altri– allo stesso modo, a suo tempo, capita con il Vangelo, coloro che lo possediamo sappiamo che con questo siamo ricchi; ma gli infedeli, ignoranti di questo tesoro, ignorano anche la nostra ricchezza”.10
Infatti, quanti pensatori pagani hanno aderito alla verità del Cristianesimo, in quei primi tempi, perché si sono sentiti attratti dalla sua dottrina, arrivando, alcuni di loro, a fare dono della propria vita per amore di questa? Erano “buoni mercanti di perle”.
Al contrario, numerosi sono oggi coloro che abbandonano la “perla” della verità e preferiscono rotolare nel precipizio dell’errore, dell’equivoco e della confusione. Si lanciano, senza paura, nelle acque torbide dell’indifferenza e della debolezza a proposito della loro salvezza eterna, del Regno e dello stesso Dio. Per costoro, il senso dell’essere si affievolisce, al punto che non distinguono quasi più tra bene e male, bello e brutto, verità ed errore.
E quanti ce ne sono oggi che, pur conoscendo la verità, non si concedono ad essa, per pura mancanza di generosità? Non “vendono tutti i suoi averi”. E chi sono quelli che, nel mondo d’oggi, sono disposti a sacrificare tutto per mantenere lo stato di Grazia?
Infine, queste due parabole si completano armoniosamente. Una si riferisce al pulchrum del Regno, quella della perla; l’altra cerca di infonderci l’idea di vantaggio, utilità e premio, quella del tesoro. In quest’ultima si riflette la gratuità del Regno – “trova”; – nella precedente, lo sforzo – “cerca”. In entrambe diventa palese quanto debba staccarsi dai beni di questo mondo chi desideri acquisire il Regno dei Cieli.
IV – La parabola della rete
47 “Il Regno dei Cieli è simile anche a una rete gettata nel mare,
che raccoglie ogni genere di pesci. 48 Quando è piena, i pescatori
la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri
e buttano via i cattivi. 49 Così sarà alla fine del mondo. Verranno
gli Angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50 e li getteranno nella
fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti”.
Continuiamo ad ascoltare Gesù che parla nei dintorni del Mare di Tiberiade, nelle cui acque, secondo le informazioni di specialisti, vivono approssimativamente trenta specie diverse di pesci. Descrive bene la realtà storico-geografica di questa parabola Padre Manuel de Tuya,11 quando analizza secondo la legislazione levitica, i pesci che erano considerati impuri – a causa dell’assenza di squame, ecc. – e gli altri, classificati come cattivi in quanto difettosi. Per questo motivo, una volta che i pescatori avevano trascinato la rete sulla spiaggia, i buoni erano messi nei cesti e i cattivi erano rigettati.
Questa scena, così comune nella vita quotidiana dei suoi discepoli, è ricordata dal Divino Maestro con l’intento di rendere loro chiaro che, per accedere nel Regno di Cieli, è indispensabile essere buon cittadino in questo stesso Regno, che comincia con la vita soprannaturale. Solo così non saremo esclusi nel nostro giudizio particolare e, quindi, anche in quello Finale. “O detto altrimenti: si compara la Santa Chiesa ad una rete, perché è stata consegnata ad alcuni pescatori, e tutti, tramite questa, sono trascinati dalle onde della vita presente al Regno Eterno, affinché non periscano sommersi negli abissi della morte eterna.
“Questa rete riunisce tutti i tipi di pesce, perché chiama al perdono dei peccati i saggi e gli insensati, i liberi e gli schiavi, i ricchi e i poveri, i forti e i deboli. […] La rete, cioè la Chiesa, sarà completamente piena, quando alla fine dei tempi sarà terminato il destino del genere umano; […] perché come il mare rappresenta il mondo, allo stesso modo l’orizzonte del mare rappresenta la fine del mondo; e in questa fine saranno scelti e conservati in cesti i buoni e i cattivi saranno buttati via, ossia, gli eletti saranno ricevuti nei Tabernacoli Eterni, e i cattivi, dopo aver perso la luce che illuminava l’interno del Regno, saranno portati nelle tenebre esterne: perché ora la rete della Fede contiene anche, come pesci mescolati, tutti i cattivi e i buoni; ma dopo, giunti alla riva si vedrà quelli che sono dentro la rete della Santa Chiesa”.12
Non solo secondo San Gregorio questa “rete” può essere interpretata come un’immagine della Chiesa; molti altri autori la giudicano nello stesso senso. La Chiesa è composta da giusti, ma anche da peccatori. Il male che a volte incontriamo nella sua parte umana non deve farci paura, tanto meno scandalizzarci; è tutto previsto. La Chiesa non smette per questo di essere Santa nella sua essenza, poiché Essa è divina. Ciò che deve importarci è cercare la “perla” e, una volta trovato questo “tesoro”, abbandonare tutto per essere buoni “pesci” in questa rete.
Il compito di separazione toccherà agli Angeli, nel giorno del Giudizio: i buoni a destra, i cattivi a sinistra; i sacerdoti santi saranno separati dai sacerdoti sacrileghi, i religiosi osservanti, dai sensuali; i magistrati integri, dagli ingiusti: saranno ricevute le vergini sagge, rifiutate le stolte; accolte le spose fedeli, allontanate le adultere; insomma, gli eletti saranno messi da una parte, e i reprobi dall’altra. Verrebbe a proposito qui un’esauriente descrizione riguardo ai tormenti eterni dei cattivi nell’inferno, come, in contrapposizione a questi, una seconda relativa ai piaceri celesti di cui godranno i buoni nella vita eterna. Non mancherà occasione per discorrere su una materia così importante.
V – Epilogo
Gesù insegnava ai suoi discepoli la sostanza e la bellezza del Regno dei Cieli, rendendoli dottori. Così, altamente formati, avrebbero dovuto insegnare agli altri con abbondanza e varietà di dottrina, secondo il livello e la necessità di coloro che li ascoltavano, senza mai essere sorpresi “a mani vuote”. “Perché, come il padre di famiglia deve alimentare i suoi con il mantenimento corporale, allo stesso modo il dottore evangelico deve nutrire il popolo cristiano con l’alimento spirituale”.13
Anche per noi costituisce una necessità, quando abbiamo altri sotto la nostra responsabilità, impiegare tutti i mezzi della miglior erudizione – antica e attuale – e della più attraente didattica, in modo da istruirli e formarli bene.
Gesù contemplava, in quest’occasione, il futuro della sua opera, non più solo con le conoscenze eterne della sua divinità, e nemmeno soltanto con quelle della visione beatifica della sua Anima nella gloria, ma attraverso la sua esperienza umana, e discerneva gli splendori dell’epilogo finale di tutti gli eventi, dopo i suoi drammi e le sue sofferenze durante la Passione. Esultava di gioia nel vedere con anticipo il trionfo dei suoi discepoli, della Chiesa, e dei buoni in generale dopo il Giudizio, come la giustizia del Padre che si abbatterà su quelli che avranno rigettato la sua Rivelazione. Per questo, mostrava davanti al pubblico – come pure davanti ai suoi discepoli – panorami dell’avvenire, ora con tinte scure e cariche di gravità, ora con fulgori splendidi e meravigliosi. I suoi ascoltatori, alle volte, si riempivano di paura e di terrore e, in altri momenti, di consolazione e speranza. Poiché la paura è un eccellente freno di fronte all’invito del male, e la speranza è uno dei migliori stimoli per condurci a Dio.
Fissiamo la nostra mente e il nostro cuore nelle meraviglie del Regno dei Cieli e conserviamo un perseverante terrore dell’eternità nell’Inferno. Così, saremo in condizione di trovarci tra quegli invitati che si troveranno a destra di Gesù, nel Giudizio Finale!
1) SANT’AGOSTINO. Confessionum. L.XII, c.25, n.34.
In: Obras. 7.ed. Madrid:BAC, 1979, v.II, p.538.
2) SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. III, q.7, a.7.
3) Idem, q.42, a.1, ad 2.
4) Idem, I, q.1, a.5.
5) SAN GIROLAMO. Comentario a Mateo. L.II (11,1-16,12), c.13, n.33.
In: Obras Completas. Comentario a Mateo y otros escritos.
Madrid: BAC, 2002, v.II, p.163.
6) MALDONADO, SJ, Juan de. Comentarios a los Cuatro Evangelios.
Evangelio de San Mateo. Madrid: BAC, 1950, v.I, p.508.
7) Idem, p.508-509.
8) Idem, p.509-510.
9) Cfr. PLINIO, IL VECCHIO. Naturalis Historia. L.IX, c.35.
10) SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Omelia XLVII, n.2. In: Obras.
Homilías sobre el Evangelio de San Mateo (46-90). 2.ed.
Madrid: BAC, 2007, v.II, p.22.
11) Cfr. TUYA, OP, Manuel de. Biblia Comentada. Evangelios.
Madrid: BAC, 1964,v.V, p.321.
12) SAN GREGORIO MAGNO. Homiliæ in Evangelia. L.I, hom.11, n.4.
In: Obras. Madrid: BAC, 1958, p.577.
13) MALDONADO, op. cit., p.512.
Estratto dalla collezione “L’inedito sui Vangeli” da Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP.
Commentaires